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Alma Mater Studiorum Università di Bologna
IMPORTANZA PROGNOSTICA DELLE CITOCHINE E
LORO RUOLO NELL'IMMUNOMODULAZIONE:
RISULTATI DI STUDI SPERIMENTALI
IN VIVO E IN VITRO.
Esame finale 2008
Coordinatore del Dottorato
Chiar.mo Prof. Paolo Famigli Bergamini
Dottorando: dott. Andrea Bonato
Relatore:
Dott. Angelo Peli
INTRODUZIONE
Le citochine sono molecole proteiche prodotte da vari tipi di cellule e secrete in risposta ad uno
stimolo. Esse sono in grado di modificare il comportamento di altre cellule inducendo attività
quali crescita, differenziamento e apoptosi.
Negli ultimi anni anche in campo veterinario è stata rivolta particolare attenzione al ruolo che
questi fattori rivestono; tali proteine sono in grado di agire come segnali di comunicazione
intercellulare nell’immunità, nella riparazione cellulare e nell’ematopoiesi. Ad oggi sono state
identificate numerose citochine e una loro maggior comprensione in ambito fisiologico,
patologico e terapeutico rappresenta un argomento di ricerca interessante. In particolare il
blocco della produzione di citochine, l’inibizione o la catalizzazione del legame al rispettivo
recettore e l’inibizione del meccanismo di trasduzione del segnale potrebbero rappresentare
innovative strategie terapeutiche.
La seguente tesi si pone quale obiettivo la comprensione del ruolo svolto da tali mediatori in
corso di patologie naturali o sperimentalmente indotte. In particolare è stata valutata
l’espressione genica e in alcuni casi proteica di un vasto panel di citochine in animali da
sperimentazione, da affezione e da reddito indagando il loro coinvolgimento in corso di svariate
situazioni fisiopatologiche e partendo da diverse matrici.
Considerando l’eterogeneità di materiali impiegati nelle diverse ricerche, si è avuto modo di
mettere a punto molteplici metodiche e protocolli di estrazione di materiale genico e proteico.
Differenti e numerose sono state pure le metodologie d’indagine applicate su tale materiale:
Real Time PCR, citometria a flusso, metodiche ELISA, metodiche di sequenziamento e
allineamento genomico e l’uso di colture di linfociti e di cellule derivanti da midollo osseo
applicandole sia in virologia che in batteriologia.
L'applicazione di queste metodiche all'espressione citochinica potrà portare all'acquisizione di
maggiori informazioni riguardo la risposta immunitaria attuata in diverse patologie animali,
contribuendo a chiarirne i meccanismi patogenetici.
1. RISPOSTA IMMUNITARIA ED INFIAMMAZIONE
La risposta immunitaria rappresenta l’azione coordinata di numerose cellule, tessuti e loro
prodotti solubili volta a riconoscere, attaccare e distruggere ciò che è “estraneo” all’organismo.
Le strutture non self sono definite antigeni e comprendono agenti infettivi (batteri, virus,
parassiti, miceti), materiali inerti ed elementi generati dall’ospite stesso quali le cellule
neoplastiche. I vertebrati sono capaci di due tipi di risposta immunitaria: innata ed acquisita.
La risposta immunitaria innata (o naturale) rappresenta il primo argine di difesa contro diversi
tipi di insulto ed è il sistema di difesa filogeneticamente più antico che si ritrova in tutti gli
organismi pluricellulari, compresi le piante e gli insetti, mentre la risposta immunitaria acquisita
(o specifica) compare per la prima volta nei vertebrati, e si rende complementare ai meccanismi
dell’immunità innata al fine di potenziare la protezione dell’ospite nei confronti dei patogeni
esterni (Abbas et al., 2000).
Entrambe le risposte sono in grado di distinguere strutture self e non self, ma il grado di
specificità e i meccanismi che sottostanno al riconoscimento dell’entità non-self sono diversi.
La risposta immunitaria innata si realizza rapidamente ogni volta che un agente esterno entra in
contatto con l’organismo e il processo che viene messo in atto avviene in due fasi: una prima
fase è caratterizzata dall’azione di elementi non specifici e non inducibili dell’ospite, quali
barriere anatomiche e fisiologiche che operano in maniera passiva, ma costante, per impedire
l’ingresso degli agenti estranei. La seconda fase è invece caratterizzata dall’azione di elementi
effettori, dotati di recettori in grado di riconoscere un numero limitato di pattern molecolari
comuni alla maggior parte dei patogeni, che danno il via a meccanismi di difesa che nel loro
insieme vengono definiti con il termine di “infiammazione” (Mak et Saunders, 2006).
L’infiammazione, o flogosi, è la risposta dei tessuti vascolarizzati dell’organismo ad un insulto
locale che comprende una serie di alterazioni nel letto vascolare, nel sangue e nel tessuto
connettivo che sono preposte all’eliminazione dell’insulto e alla riparazione del tessuto
danneggiato. L’infiammazione è un processo che coinvolge diversi tipi cellulari, fattori umorali
e tissutali e prende avvio a seguito di un danno di cellule o tessuti conseguente ad infezioni
(batteri, virus, parassiti, miceti), azione di sostanze chimiche, fattori fisici, alterazioni
immunitarie e neoplasie. Nonostante sia stata ideato come meccanismo di difesa, il processo
flogistico, se si realizza in maniera inappropriata, può condurre a profonde alterazioni
sistemiche, determinando danni tissutali più gravi di quelli prodotti dall’insulto originario
(Gruys et al., 2005). In aggiunta, i prodotti derivanti dal danneggiamento tissutale, quali le
cellule necrotiche, contribuiscono al perpetuarsi della risposta infiammatoria in maniera
sproporzionata (Bochsler et Slauson, 2002).
La risposta immunitaria acquisita comprende meccanismi di riconoscimento ed effettori che
sono altamente specifici per un preciso agente eziologico che ha dato il via alla risposta. Gli
antigeni si legano in maniera specifica a recettori presenti sui linfociti T e B, i quali, assieme
agli anticorpi da loro prodotti, riconoscono un numero potenzialmente illimitato di target, ma
non agiscono in maniera immediata. I linfociti e i loro prodotti specifici persistono come
“memoria immunitaria” e diventano rapidamente proteggenti in caso di riesposizione allo stesso
agente.
Entrambe le risposte immunitarie, innata ed acquisita, devono funzionare correttamente
affinché la difesa verso agenti esterni sia efficace. L’utilità della risposta innata non è limitata al
“tamponamento” dell’insulto nell’attesa dello sviluppo e del potenziamento della risposta
acquisita: in alcuni casi l’immunità innata riesce a controllare la noxa patogena ed è
fondamentale per l’induzione della risposta acquisita, grazie alla produzione di diversi fattori, quali molecole messaggere chiamate citochine. Dal canto suo la risposta immunitaria specifica
può essere intesa come un’estensione più sofisticata della risposta innata, dato che il complesso
del riconoscimento e le azioni delle cellule della memoria (così dette perché mantengono nel
tempo la specificità per l’antigene) inducono molti degli effetti impiegati dalle cellule del
sistema innato per la rimozione dei diversi tipi di insulto (Mak e Saunders, 2006).
1.1 LA RISPOSTA IMMUNITARIA INNATA
1.1.1 Componenti dell'immunità innata
Le componenti dell’immunità innata sono costituite dalle barriere epiteliali, nonché da cellule e
molecole solubili che riconoscono i microrganismi patogeni o le sostanze da esse prodotte,
avviando le risposte volte alla loro eliminazione. Le principali cellule effettrici dell’immunità
innata sono i granulociti neutrofili, i fagociti mononucleati e i linfociti natural killer (NK), che
attaccano i microrganismi penetrati nei tessuti o in circolo attraverso le barriere epiteliali. Nella
risposta anti-microbica ciascuno di questi tipi cellulari svolge un proprio ruolo: alcune cellule,
in particolare macrofagi e linfociti NK, secernono molecole, chiamate citochine, in grado di
attivare i fagociti e la componente cellulare dell’immunità innata. Il processo flogistico consiste
nel reclutamento e nell’attivazione di leucociti in sede di infezione, affinché possano eliminare
l’agente patogeno. Se invece i microrganismi entrano nel torrente circolatorio, sono chiamate in
causa numerose proteine plasmatiche di diversa natura: sistema del complemento, collectine,
pentraxine e componenti dell’emostasi (Abbas et al., 2000).
1.1.1.1 Barriere epiteliali
Le superfici epiteliali, se intatte, rappresentano una barriera fisica tra i microrganismi o altri tipi
di insulto e i tessuti dell’ospite. Le principali superfici attraverso cui l’ospite si interfaccia con
l’ambiente esterno sono la cute, le mucose dell’apparato gastro-intestinale e quelle
dell’apparato respiratorio. Tutte e tre queste superfici sono protette da uno strato epiteliale
continuo che previene l’ingresso degli agenti patogeni, e la perdita della sua integrità
predispone solitamente all’insorgenza di infezioni. Gli epiteli producono peptidi dotati di
attività antimicrobica naturale. Tra essi, i più studiati sono le defensine e le criptocidine. Le
defensine sono presenti nella cute di molte specie animali e si ritrovano in gran quantità nei
granuli dei neutrofili rappresentando circa il 5% delle proteine in essi contenute. Sono dotate di
attività antibiotica ad ampio spettro, capace di uccidere un’ampia gamma di batteri e miceti; la
loro sintesi viene stimolata da citochine pro-infiammatorie, quali interleuchina-1 (IL-1) e
Tumor Necrosis Factor (TNF). Le criptocidine sono invece presenti nell’epitelio del tratto
gastro-enterico e sono peptidi dotati di potente attività antimicrobica, capaci di sterilizzare
localmente il lume intestinale, ad esempio in corrispondenza delle cripte della parete. Il
meccanismo d’azione di questi peptidi non è però completamente conosciuto. Le barriere
epiteliali e le cavità sierose contengono, rispettivamente, linfociti T intra-epiteliali e linfociti B
appartenenti alla sottopopolazione B1, i quali sono in grado di riconoscere i patogeni più
comuni e montare una risposta nei loro confronti. In senso stretto apparterrebbero all’immunità
acquisita, ma i recettori che presentano sono dotati di scarsa diversificazione e possono pertanto
servire come meccanismo di difesa precostituito verso i microrganismi che riescono a penetrare
attraverso le barriere epiteliali (Abbas et al. 2000).
1.1.1.2 Granulociti neutrofili
I neutrofili costituiscono la popolazione numericamente più rappresentata tra i leucociti
circolanti e mediano le fasi più precoci delle risposte infiammatorie. Il citoplasma contiene due
tipi di granuli. La maggior parte di essi, denominati granuli specifici, contiene enzimi
proteolitici, quali lisozima, collagenasi ed elastasi, mentre i restanti granuli, detti azzurrofili,
ccontengono essenzialmente il lisozima. I neutrofili originano dal midollo osseo,
differenziandosi da uno stipite comune ai fagociti mononucleati; la loro generazione è favorita
da una citochina chiamata Granulocyte Colony Stimulating Factor (G-CSF) (Abbas et al.,
SEGUE....
PROSEGUE
2000). Queste cellule vengono rilasciate in circolo grazie alla presenza di fattori chemiotattici,
molecole derivate dal metabolismo batterico o delle cellule dell’ospite, in grado di richiamare i
neutrofili nel tessuto che ha subito il danno dove, non appena giunti, prendono contatto,
attraverso recettori di superficie, con il materiale estraneo che sequestrano in vescicole
intracellulari dette fagosomi.
La distruzione del materiale fagocitato dai granulociti neutrofili si realizza attraverso processi
ossigeno-indipendenti o ossigeno-dipendenti. I primi sono legati all’azione degli enzimi
presenti nei granuli del citoplasma i quali attaccano i fagosomi conducendo all’idrolisi delle
sostanze in essi contenuti. I meccanismi ossigeno-dipendenti sono invece caratterizzati da una
serie di reazioni biochimiche che generano grandi quantità di metaboliti reattivi dell’ossigeno,
altamente tossici, che vengono rilasciati nel fagosoma. La generazione di queste specie
chimiche è legata all’attivazione breve ed intensa del metabolismo respiratorio che viene
indicata come “respiratory burst” (esplosione respiratoria) (Marshall, 2005). Gli enzimi
rilasciati possono però causare danni ai tessuti dell’ospite stesso nel caso di una prolungata ed
intensa risposta infiammatoria (Mak et Saunders, 2006).L’emivita di un neutrofilo è di circa 6
ore e se entro tale termine non viene reclutato in qualche focolaio flogistico, va incontro a
morte programmata (apoptosi) e viene poi fagocitato dai macrofagi residenti nel fegato e nella
milza.
1.1.1.3 Monociti/macrofagi (fagociti mononucleati)
I macrofagi ed i loro precursori circolanti, i monociti, svolgono un ruolo centrale sia
nell’immunità innata che in quella specifica. Dal punto di vista filogenetico le cellule
macrofagiche sono i mediatori più antichi dell’immunità innata. I monociti si generano dal
midollo osseo dalla stessa linea mieloide che dà origine ai granulociti e possono rimanere in
circolo per periodi prolungati (1-3 giorni); una volta penetrati nei tessuti si differenziano in
macrofagi acquisendo una maggior attività fagocitaria che si accompagna ad un aumento
dimensionale del citoplasma e numerico degli organuli (lisosomi, microtubuli, microfilamenti e
membrane dell’apparato di Golgi), nonché esprimendo diversi pattern di molecole di superficie.
I macrofagi risiedono nei tessuti connettivi, negli interstizi degli organi parenchimali, nel
rivestimento dei sinusoidi vascolari splenici ed epatici e nei seni linfatici dei linfonodi: queste
cellule sono quindi localizzate in maniera strategica a livello di tutti i siti attraverso cui le noxae
flogogene possono penetrare nell’organismo. I macrofagi rispondono agli agenti patogeni con la
stessa rapidità dei neutrofili, ma permangono molto più a lungo nei focolai flogistici.
Presentano un’emivita maggiore rispetto ai neutrofili e diversamente da questi non sono cellule
terminali, ma vanno incontro a proliferazione a livello di focolaio infiammatorio. Il ruolo che
rivestono nell’immunità innata non è solo dato dalla funzione fagocitaria, ma anche dalla
capacità di secernere diverse molecole coinvolte nel processo infiammatorio: citochine,
necessarie a guidare i neutrofili e altre cellule immunitarie nel sito di flogosi, lisozima,
componenti del complemento e mediatori lipidici quali leucotrieni e Platelet Activating Factor
(PAF) (Mak e Saunders, 2006).
I macrofagi svolgono anche un’importante funzione come cellule accessorie dei linfociti
dell’immunità acquisita: agiscono da cellule presentanti l’antigene, così dette perché catturano
gli antigeni proteici extracellulari, li internalizzano e li processano, esponendo i peptidi da essi
derivati in associazione a molecole del complesso maggiore di istocompatibilità (Major
Histocompatibily Complex, MHC). I linfociti T infatti riconoscono frammenti peptidici derivati
dagli antigeni proteici e legati a molecole codificate dai geni del complesso maggiore di
istocompatibilità ed espresse sulla superficie cellulare. Le cellule che espongono peptidi
associati a molecole MHC sono dette Antigen Presenting Cells (APC) e sono rappresentate,
oltre che dai macrofagi, dalle cellule dendritiche e dai linfociti B. 8
Infine, nella fase di risoluzione dell’infiammazione, i macrofagi favoriscono il rimodellamento
tissutale grazie alla secrezione di fattori angiogenetici (come il fattore di crescita delle cellule
endoteliali vascolari, VEGF), fattori che stimolano la produzione di fibroblasti (come il fattore
di crescita di derivazione piastrinica, PDGF) e fattori che regolano la sintesi di componenti del
tessuto connettivo (quali il fattore di crescita trasformante, TGF-β) (Abbas et al., 2000).
1.1.1.4 Linfociti Natural Killer (NK)
I linfociti NK sono una sottopopolazione di linfociti in grado di lisare cellule infettate da virus e
di secernere citochine, in particolare interferone gamma (IFN-γ). I linfociti NK vengono attivati
dal riconoscimento di tre tipi di strutture: cellule rivestite da anticorpi, cellule infettate da virus
o da alcuni batteri intracellulari e cellule prive dell’espressione di molecole del complesso
maggiore di istocompatibilità di classe I (Major Histocompatibily Complex, MHC-I). Le
funzioni effettrici dei linfociti NK sono la lisi di cellule infettate da virus e di cellule tumorali,
nonché la secrezione di IFN-γ, che attiva la distruzione dei microrganismi fagocitati da parte
dei macrofagi. Le cellule NK sono dotate di granuli che contengono una proteina, la perforina,
capace di formare pori nelle cellule bersaglio, nonché alcuni enzimi, i granzimi, che penetrano
nella cellula bersaglio attraverso i pori aperti dalle perforine, innescando il processo apoptotico
(Abbas et al., 2000).
1.1.1.5 Sistema del complemento
Il sistema del complemento è costituito da un complesso di più di 30 proteine plasmatiche e
recettori di superficie cellulare prodotti in diversi distretti dell’organismo, ma soprattutto dai
macrofagi, dagli epatociti e da cellule epiteliali dell’intestino e delle vie urinarie. Il
complemento svolge un’ampia gamma di funzioni che vanno dalla lisi cellulare (batteri,
eritrociti, cellule nucleate) al rinforzo delle risposte dei linfociti T e B (Carroll, 2004).
La cascata del complemento viene attivata in corso di infezioni e danno tissutale attraverso tre
vie che condividono il passaggio comune di attivazione della componente C3 (fig. 1.1). La via
“classica”, così definita perché scoperta per prima, si basa sull’interazione di IgM, IgG1 o
IgG3, legate alla membrana dell’agente patogeno o ad altre strutture, con una proteina chiamata
C1; la via “alternativa”, scoperta successivamente ma filogeneticamente più antica, viene
attivata dall’interazione diretta con certe strutture di membrana dei microrganismi con C3. La
“via della lectina” viene invece attivata da una proteina, la lectina legante il mannosio
(Mannose Binding Lectin, MBL) (Sherwood e Toliver-Kinsky, 2004). La MBL interagisce con
carboidrati provvisti di un residuo di mannosio o fucosio terminale, tipicamente presenti nelle
glicoproteine e nei glicolipidi della parete batterica; esso è quindi capace di legarsi a proteine
microbiche, ma non a proteine espresse dalle cellule dell’ospite. In circolo MBL si trova
associata ad una proteasi serinica, che può attivare le componenti C2 e C4 che conducono poi
all’attivazione di C3, bypassando così le prime tappe dell’attivazione del complemento per via
classica ed alternativa. (Abbas et al., 2000).
Ognuna di queste vie attiva il clivaggio della componente C3 in C3a e C3b. C3a è chemiotattica
per i neutrofili, C3b si lega alla superficie degli agenti patogeni facilitando il riconoscimento di
questi da parte dei fagociti e forma un complesso proteolitico con altre componenti del
complemento per permettere il clivaggio di C5 nelle porzioni a e b. C5a richiama neutrofili ed
altera la permeabilità vasale. C5b si lega alla membrana microbica e facilita la formazione del
complesso composto da C6, C7, C8 e C9, che lisa la membrana cellulare dei batteri (Sherwood
e Toliver-Kinsky, 2004).
segue...
1.1.1.6 Citochine
Le citochine sono proteine secrete da cellule coinvolte nella risposta di tipo innato ma anche
acquisito. Sono prodotte in risposta a patogeni o altri antigeni e sono coinvolte in diverse
risposte cellulari sia in ambito immunitario che infiammatorio.
Per un'ampia descrizione di tali componenti si rimanda ai capitoli successivi (Capitolo 2).
1.1.1.7 Proteine di fase acuta
Nelle prime fasi della risposta infiammatoria, citochine quali IL-1, IL-6 e TNF-α stimolano il
fegato ed altri tessuti a produrre delle proteine note come “proteine di fase acuta” (Acute
Phase Proteins, APPs) (Ceròn et al., 2005).
Le APPs svolgono un ruolo importante nel ristabilire l’omeostasi mediando o inibendo i
processi infiammatori, permettendo il trasporto di proteine e partecipando alla riparazione del
tessuto. Tali proteine possono interagire con i monociti/macrofagi per favorire o sopprimere il
rilascio di mediatori infiammatori, presentano attività emostatica, antitrombotica,
antiproteolitica e microbicida (Suffredini et al., 1999; Moshage, 1997). La concentrazione
plasmatica di alcune di queste proteine risulta diminuita in corso della risposta di fase acuta e
per questo si parla di proteine di fase acuta negative (albumina e transferrina), mentre se la
concentrazione risulta aumentata sono definite positive (Ceròn et al., 2005).
L‘aumento di concentrazione plasmatica varia dal 50% nel caso della ceruloplasmina fino a più
di mille volte nel caso della proteina C reattiva e dell’amiloide A sierica. Condizioni che 10
determinano un notevole incremento delle concentrazioni delle APPs sono rappresentate ad
esempio da infezioni, traumi, ustioni e cancro, mentre variazioni moderate si possono rilevare a
seguito di forte esercizio, colpo da calore e al momento del parto (Gabay e Kushner, 1999).
Le principali proteine di fase acuta sono:
Proteina C reattiva (C-Reactive Protein, CRP): è la prima proteina di fase acuta ad
essere stata descritta e deriva il suo nome dalla sua capacità di legare il polisaccaride C
di Pneumococcus pneumoniae (Ceròn et al., 2005). La CRP è in grado di legarsi alla
fosfocolina presente nei batteri e a costituenti fosfolipidici delle cellule tissutali
danneggiate permettendo l’attivazione del complemento che favorisce la loro
eliminazione. Inoltre, la CRP è in grado di indurre la sintesi di diverse citochine da parte
dei monociti e di ridurre l’adesione dei neutrofili alle cellule endoteliali nonché la
produzione di radicali superossido dai neutrofili stessi (Gabay e Kushner, 1999).
Amiloide sierica A (Serum Amyloid A, SAA): è un’apolipoproteina con funzioni
chemiotattiche per il reclutamento di cellule nei siti di infiammazione e partecipa alla
regolazione del processo infiammatorio attraverso l’inibizione del rilascio di
mieloperossidasi e della proliferazione dei linfociti. La SAA è coinvolta nel
metabolismo e nel trasporto de lipidi: si lega infatti alle HDL (High Density
Lipoproteins) che vengono destinate ai macrofagi per il loro utilizzo come fonte
energetica (Ceròn et al., 2005).
Aptoglobina (Haptoglobin, Hp): è una proteina capace di legare l’emoglobina libera
che rappresenta un fattore tossico e proinfiammatorio derivato dal processo emolitico.
Legando l’emoglobina libera, limita la disponibilità di ferro necessario alla crescita
batterica. Hp inibisce la chemotassi e l’attività fagocitarla dei neutrofili ed agisce da
antagonista per i recettori CD11 e CD18 della membrana dei leucociti (Ceròn et al.,
2005 e Gruys et al., 2005).
Glicoproteina acida alpha-1 (alpha-1-acid glycoprotein, AGP): è un agente
antinfiammatorio in grado di inibire l’attività di neutrofili e sistema del complemento.
L’AGP induce la sintesi da parte dei macrofagi di un recettore che lega IL-1, IL-1
receptor antagonist (Ceròn et al., 2005).
Ceruloplasmina (Ceruloplasmin, Cp): è una glicoproteina plasmatica della frazione
delle α2 a cui è legata la maggior parte del rame circolante. Interviene nei processi di
guarigione e cicatrizzazione e possiede un’azione proteggente le cellule dagli agenti
ossidanti liberati dai fagociti (Ceròn et al., 2005).
1.2 LA RISPOSTA IMMUNITARIA ACQUISITA
L'immunità di tipo acquisito si differenzia dall'immunità di tipo innato in quanto agisce in
maniera specifica, ossia per ogni tipo di stimolo viene innescata una risposta che vale per quel
preciso agente. Questa specificità assicura un alto grado di efficienza, in quanto evita le risposte
non necessarie. Essa ha memoria immunologica e i tempi di risposta sono relativamente lunghi
(da 96 h in poi).
1.2.1 Componenti dell'immunità acquisita
L'immunità specifica è costituita da linfociti T, linfociti B e cellule accessorie.
I linfociti T si suddividono in linfociti T helper CD4
+
e linfociti T citotossici (CTL) CD8
+
.
La funzione effettrice dei primi è quella di attivare i macrofagi, i linfociti B e di mediare il
processo infiammatorio mediante il reclutamento di varie cellule con produzione di citochine.
La funzione effettrice dei secondi invece è quella di lisare le cellule infette.
Nel differenziamento linfocitario si possono individuare principalmente due fasi: una fase
antigene dipendente e una antigene indipendente.
Nella fase antigene indipendente, che avviene negli organi linfoidi primari (midollo osseo e
timo), vengono inizialmente prodotti linfociti provvisti di tutti i recettori per ogni tipo di
antigene; successivamente alla fine di questo processo sono isolabili linfociti maturi che sono
considerabili come "vergini" in quanto saprebbero riconoscere l'antigene ma non lo hanno mai
incontrato direttamente. La fase antigene dipendente che si svolge negli organi linfoidi
secondari determina l'incontro tra l'antigene e il linfocita che possiede il recettore adatto.
A questo punto si formano due categorie di cellule:
1. cellule della memoria: un pool di cellule capaci, in casi di rimanifestarsi dell'attacco
patogeno, di velocizzare moltissimo la risposta adattativa da affiancare alla risposta innata;
2. cellule effettrici, in grado esse stesse di combattere e distruggere il patogeno (esempio
per i linfociti B le plasmacellule)
Tutte le cellule della linea leucocitaria derivano da un unico progenitore staminale multipotente
riconoscibile dalla molecola CD34 (CD34+). Successivamente viene creata una cellula
staminale linfoide (Fig 1.2).
I linfociti maturi sono riconoscibili in quanto esprimono 5 famiglie di recettori: i recettori per
l'antigene (TCR), i recettori MHC (sistema maggiore di istocompatibilità), recettori per fattori
di crescita, recettori homing (consente al linfocita di essere indirizzato verso un organo linfoide
secondario oppure verso un organo specifico in cui vi è proliferazione di patogeni) e recettori di
interazione cellula-cellula (Abbas, 2000)..
1.2.1.1 Linfociti B
I linfociti B sono cellule che, in seguito a stimolazione antigenica, sono capaci di proliferare e
trasformarsi in cellule effettrici, le plasmacellule, queste ultime capaci di liberare anticorpi. Gli
anticorpi o immunoglobuline sono proteine specifiche che riescono ad identificare in maniera
precise e pressoché univoca specifici antigeni. Sono note 5 classi di Ig (dette M, A, G, D ed E).
I linfociti "vergini" sono evidenziabili appunto grazie alla molecola IGM+. Una volta che il
patogeno viene circondato da anticorpi sensibili a magari più antigeni del patogeno stesso,
viene attivato il sistema del complemento che provvede alla lisi del patogeno e richiama i
macrofagi che fagocitanoil patogeno. Il linfocita B puo anche usare un sistema di
opsonizzazione limitandosi a rendere il patogeno riconoscibile al macrofago oppure in caso di
presenza di tossine può provvedere a neutralizzarle affinché sempre il macrofago possa
distruggerle (Abbas, 2000).
1.2.1.2 Linfociti T
I linfociti T riescono a riconoscere un antigene "presentato" sulla superficie di una cellula
complessato con le proteine del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), e non quindi
nella sua forma solubile.
I linfociti T possiedono un sistema di recettori, TCR/CD3, tramite i quali riescono a riconoscere
il peptide antigenico, presente in un complesso con le proteine dell'MHC. I peptidi espressi
sulla cellula assieme alle proteine dell'MHC non derivano solo da antigeni, ma anche dal
metabolismo cellulare, dopo digestione nel proteosoma, e possono essere quindi anche
"molecole self", vale a dire proprie dell'organismo stesso e non provenienti da organismi
estranei. Nel caso in cui una cellula sia infettata da virus, il virus stesso ineluttabilmente induce
la cellula a produrre delle proteine che servono alla proliferazione virale e alcune di queste
proteine virali vengono lise dai proteosomi e presentate sulla cellula infetta provocando il
marcamento per un linfocita di tipo T della cellula infettata. I linfociti T non hanno però solo
una funzione effettrice capace di eliminare cellule tumorali, infette e organismi patogeni, ma
hanno anche una funzione regolatoria tramite la produzione di linfochine, molecole che sono
alla base di fenomeni di cooperazione cellulare nella risposta immunitaria. Le cellule a funzione
effettrice possiedono la molecola di riconoscimento CD8 (sono dette CD8+) e sono i linfociti T
citotossici (CTL); le cellule con funzione regolatrice sono marcate dalla CD4 (dette CD4+) e
sono i linfociti T helper (Th) (Farrar et al., 2002).
I linfociti T hanno una metodologia di differenziamento particolare che avviene nel timo. Nella
zona capsulare di questo possiamo trovare i timociti, linfociti non ancora maturi, che esprimono
sulla loro superficie la molecola CD7 e non quella caratterizzante la loro specie linfoide, la
CD3. Un secondo stadio avviene nella zona corticale in cui i timociti sono immersi in maglie
epiteliali che producono fattori di crescita aiutandone così la maturazione. Successivamente vi è
un riarrangiamento del TCR/CD3 che è molto simile a quello delle immunoglobuline in questo
stadio il linfocita esprime sia CD4 (tipica del T helper) sia CD8 (tipica del linfocita effettore).
In seguito a processazione dell'antigene da parte delle Antigen Presenting Cell (APC) si ha
l'esposizione di questo sui complessi maggiori di istocompatibilità (MHC). Il riconoscimento di
questo complesso da parte dei recettori dei linfociti T (TCR) innesca una risposta che può
essere di tipo anticorpale o cellulo mediata. Da ricordare che le cellule CD8
+
riconoscono i
MHC di I tipo mentre i CD4
+
quelle di tipo II.
L’immunità acquisita può essere pertanto distinta in 2 sottotipi :
cellulo-mediata, legata alla presenza di linfociti T. Tale immunità può essere trasferita in
individui mediante linfociti T prelevati da un individuo immunizzato
umorale, mediata da anticorpi, in cui le cellule coinvolte sono i linfociti B. Tale
immunità può essere trasferita in soggetti non immunizzati mediante plasma o siero
1.2.2 Immunità cellulo-mediata
L'immunità di tipo cellulo mediato è coinvolta nella difesa contro i microrganismi intracellulari
ed è espletata dai linfociti T. Vi sono 2 principali forme di immunità cellulo mediata.
La prima, che prende ad esempio le reazioni di ipersensibilità di tipo ritardato (DHT), vede i
linfociti Th1 CD4
+
e linfociti CD8
+
coinvolti nel riconoscere antigeni di microrganismi ingeriti
dai fagociti, attivando il fagocita ad eliminarli. Nella seconda tipologia di risposta cellulo
mediata si assiste all'azione di linfociti CD8
+
citotossici capaci di uccidere tutte le cellule
nucleate contenenti antigeni estranei (antigeni tumorali o microbici) all'interno del citosol
(Seder et Ahmed, 2003).
Le reazioni immuni di tipo cellulo mediato possono essere suddivise in numerosi passaggi: il
riconoscimento da parte di linfociti T naive di antigeni associati a cellule in organi linfoidi
periferici; l'espansione clonale di linfociti T e la loro differenziazione verso cellule effettrici; la
migrazione di tali cellule efffettrici verso il sito di infezione; l'eliminazione del microrganismo
o dell'antigene.
I linfociti CD4+ si possono differenziare verso il fenotipo Th1, cellule effettrici che secernono
interferone gamma (IFN γ) favorendo un'immunità fagocita mediata (Boehm et al., 1997), o
verso il fenotipo Th2 capaci di secernere interleuchina 4 e 5 (IL4 e IL 5), che favoriscono le
reazioni immunitarie modulate da eosinofili e mastociti e la produzione di immunoglobuline E
(IgE).
La differenziazione verso una sottopopolazione Th1 piuttosto che Th2 è controllata dalla
produzione di citochine prodotte dalle Antigen Presenting Cells (APCs) o dagli stessi linfociti
T.
I linfociti CD8
+
si differenziano nei linfociti citotossici, acquisendo la capacità di uccidere
cellule target sotto l'influenza di moleole costimolatorie e mediante l'aiuto di linfociti CD4
+
.
La migrazione dei linfociti T verso i siti di infezione dalla liberazione di chemochine quali ad
esempio l'interleuchina 8, che permettono il legame fra cellule endoteliali attivate e molecole di
adesione presenti sui linfociti stessi (Choi et al., 2004).
L'attivazione dei macrofagi mediata dalla popolazione linfocitaria Th1 prevede la presenza di
IFN γ e dell'interazione CD40L-CD40 (Grewal et Flavell, 1998). Tale azione permette
l'uccisione dei microrganismi fagocitati, stimola l'infiammazione e ripara il tessuto
danneggiato.Se l'infezione non viene completamente risolta, i macroagi si possono rilevare
dannosi determinando a loro volta danno tissutale e fibrosi.. -
Apocalypse23.
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I linfociti citotossici CD8+ uccidono le cellule esprimenti peptidi derivanti da antigeni citosolici
(ad esmpio di natura virale) presentati in associazione al complesso maggiore di
istocompatibilità di classe I (MHC I).
L' eliminazione di tali cellule è attuata principalmente mediante liberazione per esocitosi di
granuli contenenti granzimi e perforina. La perforina permette l'ingresso di granzimi nel
citoplasma delle cellule bersaglio, iniziando così i processi di apoptosi (Fig.1.3) Questi ultimi
sono ulteriormente innescati dall'espressione del recettore FasL che va a legarsi ai recettori Fas
presenti sulla membrana delle cellule bersaglio, stimolando ulteriormente l'apoptosi 8 (Raja et
al., 2003).
http://amsdottorato.cib.unibo.it/738/1/Tes...nato_Andrea.pdf vi prego di continuare a
leggere qui il doc è pieno di immagini e lunghissimo. vale la pena di leggere..